Copertina del libro
Copertina del libro "Canto Africano" di Federica Gazzani

l’Africa raccontata da Federica Gazzani

Mi portavo dentro la sensazione di appartenere a quella gente. E mi sembrò di avere lasciato l’Africa per sempre.

Inizia così il viaggio di Federica Gazzani e del suo Canto Africano, romanzo autobiografico pubblicato nel 2007 dalla casa editrice Il Ciliegio: con un arrivo all’aeroporto di Milano, da cui era partita sette mesi prima.

Pensieri, emozioni, ricordi, il tutto accompagnato dalla sensazione di essere un’estranea in casa propria, una sensazione molto comune a tutti i viaggiatori: così Federica Gazzani racconta il suo brusco ritorno alla realtà dopo aver vissuto un’avventura, iniziata quasi per scherzo, in uno dei continenti più misteriosi e magici del pianeta Terra, ricco di luci e anche di ombre.

Il mal d’Africa infatti non risparmia nessuno, nemmeno i più forti di cuore, e l’autrice ha modo di sperimentarlo sulla propria pelle quando, dopo essere tornata, i profumi, i sapori, persino i colori, non le sembrano più gli stessi.

“Mi portavo dentro la sensazione di appartenere a quella gente. E mi sembrò di avere lasciato l’Africa per sempre.”

“Canto africano” di Federica Gazzani: trama

La trama di Canto Africano non comincia con il solito giro di parole del tipo “Quando ero giovane, mi capitò questo e quell’altro…”, ma con una riflessione che, se da una parte non appaga i lettori più curiosi (e anche quelli più “diffidenti”) e desiderosi di scoprire di cosa tratta il romanzo, dall’altra stuzzica il palato di quelli più inclini a lasciarsi sorprendere, a non dare nulla di scontato né tanto meno a lasciarsi sedurre dalla banalità del normale:

“Canto Africano, con la sua struttura circolare – in cui l’inizio coincide con la fine – è quasi un diario di viaggio, da Milano al centro dell’Africa, attraverso un deserto del Sahara superato con mezzi di fortuna e fra mille contrattempi apparentemente distruttivi, in realtà portatori di incontri significativi.

Federica osserva, a volte si piega morbidamente, a volte si oppone e si ribella con rabbia.

Ma anche quando è vittima di soprusi, è sempre cosciente della sua profonda indipendenza e forte della sua inattaccabile libertà di donna.

C’è una pedagogia anche nella violenza, quasi indifferente e soggettiva, della tempesta di sabbia nel deserto, che si compie nella sua ineluttabilità fermando il tempo esterno per divenire un tempo interiore, di esplorazione di sé e di indagine sulle ragioni del vivere e del morire.

Il romanzo insegna che intelligenza è spirito di adattamento che non può superare, però, codici etici che appartengono a confini interiori e non sono solo il frutto di imposizioni e i valori di lealtà, generosità e amore.”

Lontana dal suo ambiente, dai suoi affetti e dai suoi amici, Federica non solo imparerà presto che niente è come sembra e ad affermare la sua unicità di donna in mezzo a uomini maschilisti e legati all’archetipo che vede la donna bianca come un “oggetto del desiderio” perché diversa e più seducente, ma anche ad ascoltare sé stessa in mezzo al deserto del Sahara, a riflettere su quello che è la sua vita e a sopravvivere quando il suo accompagnatore, invece di prendersi cura di lei quando è malata, preferisce rifugiarsi nelle sue canzoni e scrivere alle “amiche” europee.

“Canto africano” di Federica Gazzani: recensione

Federica, armata di stivali dorati con tacchi a spillo e del libro Sulla strada di Jack Kerouac, segue senza pensarci due volte Danny, un musicista camerunense incontrato per caso in una discoteca, attirata dall’idea di accompagnarlo come ballerina durante i suoi concerti.

Tuttavia, fin dal primo momento, l’imprevisto si presenta per tenerle compagnia: non solo il suo compagno, che si rivela decisamente inaffidabile, le chiede di anticipare i soldi per il viaggio, ma in più i suoi due amici, che avrebbero dovuta accompagnarla, si tirano indietro all’ultimo minuto.

Sola, sballottata nel bel mezzo dell’Africa e senza più certezze, Federica si ritrova in situazioni che farebbero saltare i nervi anche al più esperto dei viaggiatori, ma che lei affronta con quel pizzico di sfrontatezza dato dalla giovane età e anche con una buona dose di incoscienza: dopotutto quante ragazze, e anche quanti ragazzi, al giorno d’oggi troverebbero il coraggio di uscire senza pensarci due volte dalla loro “confort zone” e di affrontare l’ignoto?

Per non parlare del rapporto con Danny, che al contrario del Dean Moriarty di Kerouac, si rivela un personaggio avido ed egoista, che non si fa scrupoli a costringerla a dormire all’interno di posti più vicini a topaie che non ad alberghi, a chiederle soldi e, dulcis in fundo, a non curarsi delle sue esigenze più basilari, come mangiare, dormire ed essere in salute (in una scena di Canto Africano, molto significativa, Federica è in preda alla febbre, alla tosse e al mal di gola, mentre questo personaggio, invece di curarsi del suo stato di salute, si preoccupa piuttosto di scrivere alla sua amante parigina).

Federica però, nonostante tutte le difficoltà e i numerosi bassi che vive, decide di proseguire lungo il suo cammino: non può tornare in Italia, perché Danny le ha confiscato il suo passaporto, ed è troppo orgogliosa per chiedere l’aiuto dei suoi genitori, perché sarebbe come ammettere la sconfitta, quindi va avanti.

Lungo la sua strada incontra i personaggi più variopinti, dai turisti italiani che desiderano viaggiare con qualcuno che conosca bene i posti e desiderosi di avere compagnia, agli efficienti viaggiatori tedeschi, passando per promoter, manager, sale prove e musicisti improvvisati che, in più di un’occasione, le faranno chiedere se Danny sappia quello che fa oppure no.

In mezzo a queste insicurezze e con l’Italia che sembra allontanarsi ogni giorno sempre di più, Federica però scoprirà anche il calore di un popolo giudicato ancora (a torto) selvaggio, i ritmi sfrenati della musica del continente nero, i balli e, da ultimo ma non meno importante, il vero amore, che tutto travolge come un’onda.

Canto africano di Federica Gazzani presenta una scrittura scorrevole, estremamente piacevole da leggere, pertanto lo consigliamo sia agli appassionati dei diari di viaggio “già rodati”, sia ai giovani viandanti che desiderano avvicinare questo genere letterario, ma che non si sentono ancora abbastanza sicuri per affrontare libri impegnativi quanto una scalata dell’Everest.

Recensione di: Francesca Orelli.

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