Copertina del libro
Copertina del libro "Cristo con il fucile in spalla" di Ryszard Kapuściński

Storie dal mondo: Kapuściński e i suoi reportage

Ryszard Kapuściński è stato un giornalista e scrittore polacco noto per i suoi reportage in giro per il mondo. Fino al 1981 lavorò come corrispondente estero per l’agenzia di stampa polacca Pap, viaggiando e scrivendo di luoghi come l’Africa, l’URSS o l’Iran, dedicando a ciascuno di loro almeno uno dei suoi libri.

Nella sua lunga carriera Kapuściński è diventato un punto di riferimento, un esempio, un maestro per coloro che desiderano intraprendere la carriera di reporter.

A questa professione Kapuściński ha dedicato anche un libro intitolato proprio “Autoritratto di un reporter”.

In questa recensione voglio però concentrarmi su un altro libro del giornalista e cioè “Cristo con il fucile in spalla”, scritto a metà anni ’70 ma uscito in Italia per la prima volta nel 2011 ed edito da Feltrinelli.

Questo libro è una raccolta di storie dal mondo, reportage dal mondo che Kapuściński ha avuto modo di collezionare nella sua lunga carriera e nei suoi numerosi viaggi in numerosi paesi. Appunti, saggi ed articoli riuniti in un solo libro.

L’idea di riunire determinati pezzi in uno stesso volume è data dal focus di tutte queste storie dal mondo: si parla in particolare di movimenti rivoluzionari e guerriglie a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.

Il libro è suddiviso in tre parti (a loro volta divisi in racconti): nella prima sezione viene affrontato da varie angolazioni il conflitto palestinese – con un ampio spazio lasciato ai Fedayn – nella seconda parte invece ci spostiamo di migliaia di chilometri fino ad arrivare all’America Centrale e Latina (con storie dal Guatemala, San Salvador, Haiti, Repubblica Dominicana e Bolivia) dove in quel momento storico si è alle prese con le ribellioni popolari e le neonate dittature sorrette dall’appoggio statunitense. Nella terza ed ultima parte Kapuściński torna al suo luogo per eccellenza: l’Africa. Nell’ultimo capitolo il reporter ci racconta della ribellione a piedi scalzi del Mozambico, della nascita di questo paese e di figure come Joaquim Chissano e Eduardo Mondlane.

“[…] Appartiene a quella generazione di giovani latinoamericani che negli anni cinquanta, impugnate le armi, avevano riportato soltanto una prima, anche se meravigliosa, vittoria; e da allora si erano convinti che la storia si schierasse automaticamente dalla parte delle cause più nobili. Molti di loro hanno pagato quella fede con la vita.”

Reportage dal mondo: storie di uomini

In questa serie di reportage l’autore pone particolare attenzione alle singole figure umane protagoniste di movimenti, battaglie e rivoluzioni. Non mancano infatti le storie di personaggi importanti del ‘900 come Salvador Allende e Che Guevara, ma anche di persone meno conosciute e osannate che hanno dato un contributo inestimabile alla storia del proprio paese.

Uno su tutti è il personaggio che dà il titolo a questa raccolta di storie dal mondo: chi è questo Cristo con il fucile in spalla?

Potremmo pensare che si tratta del signore raffigurato in copertina, ma quello è Camilo Cienfuegos, guerrigliero cubano dell’esercito dei barbudos di Castro.

No, il Cristo a cui si riferisce il titolo è in realtà un missionario colombiano che decise di combattere assieme ai partigiani del suo paese, la Colombia, e fu ucciso.

Il libro è pieno di incontri e di conversazioni, perché Kapuściński con umiltà ed empatia riesce sempre ad entrare in contatto con culture lontane senza mai cadere negli stereotipi, rifuggendo da giudizi e pregiudizi, senza ostentare una falsa superiorità.

Fra tutte le storie umane raccontate in questi reportage dal mondo ce n’è una che mi ha colpito più di tutte: è quella raccontata nel capitolo intitolato “Perché è stato ucciso Karl Von Spreti”.

In questo capitolo Kapuściński ci racconta del rapimento e dell’assassinio dell’ambasciatore tedesco in Guatemala, avvenuto nel 1970 per mano di un gruppo paramilitare di guerriglia.

La nuda cronaca dei fatti si alterna a riflessioni e pensieri, a frammenti di vita quotidiana della popolazione locale che si intrecciano involontariamente e quasi con indifferenza con la storia di questo uomo morto nell’esercizio del suo dovere.

In questo capitolo l’autore si sofferma sul concetto del “silenzio” e su quanto questo possa essere stato dannoso, pericoloso e responsabile dell’allora situazione in cui questi stati del centro America versavano.

Quanto ha influito il silenzio e l’omertà nella repressione delle libertà e nella conservazione del potere di queste dittature? Kapuściński ci parla qui del Guatemala nello specifico, ma il discorso può ovviamente valere per tutti quegli stati della stessa area geografica che negli anni sessanta e settanta erano alle prese con le medesime situazioni. Ed il discorso in realtà è sempre molto attuale, possiamo tranquillamente estenderlo anche al mondo contemporaneo: il silenzio dovrebbe farci sempre preoccupare più del rumore.

Il libro è breve, sono 186 pagine, ed è di quelli che piace a me: suddiviso in capitoli, a loro volta suddivisi in altri brevi racconti. Tutte queste storie dal mondo, reportage e articoli usciti anche singolarmente in passato, si possono leggere in maniera indipendente quando ci sentiamo di voler approfondire uno stato oppure un altro.

Dopo averlo letto tutto una prima volta, per esempio, io mi sono ritrovata a rileggere una seconda volta singoli racconti quando decidevo di partire per qualche viaggio, visto che mi piace sempre avere una panoramica storica dei posti che visiterò.

Ho riletto parte del primo capitolo prima di andare in Giordania e vari estratti prima di partire per l’America Latina.

Queste storie dal mondo scritte da uno dei maggiori reporter del novecento, sono storie mai banali, lineari, dallo stile asciutto tipico di un giornalista, ma allo stesso tempo sufficientemente approfondite e pensate da permetterci di capire ogni volta qualcosa in più di uno stato, di un popolo o di un preciso momento storico anche attraverso una singola vicenda.

Questo è il potere e la capacità di un reporter come pochi: farci capire meglio il mondo in poche e semplici righe destinate a rimanerci dentro per molto tempo.

Recensione di: Sara Ciolini.

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