Interno del Cimitero delle Fontanelle di Napoli. Foto di difotoediviaggi.it
Interno del Cimitero delle Fontanelle di Napoli. Foto di difotoediviaggi.it

Hai mai sentito parlare di Necroturismo? No, non è una cosa che deve spaventare. Si tratta della tendenza, sempre più in voga, di visitare alcuni cimiteri molto particolari o dove sono sepolti personaggi illustri.

Se capiti a Napoli, anche se non sei un necroturista incallito, ti consigliamo caldamente di inserire nel tuo itinerario, una visita al Cimitero delle Fontanelle. Qui, in un ambiente altamente suggestivo, si trovano cumuli di crani e migliaia e migliaia di defunti che non hanno avuto sepoltura.

Nell’ambito di una tradizione fortemente radicata, in questo luogo si sono poi sviluppate numerose leggende che hanno favorito il processo di personificazione delle “anime pezzentelle”, emblema del rapporto che i napoletani hanno con l’Aldilà.

Storia e origini del Cimitero delle Fontanelle

Il Cimitero delle Fontanelle è un sito unico al mondo che merita di essere visitato assolutamente da chi visita Napoli. È un ex-ossario del rione Sanità, uno dei quartieri più ricchi di storia e tradizione, dove si respira la vita autentica napoletana.

Sviluppato su oltre 3000 mq, il Cimitero delle Fontanelle di Napoli contiene i resti di un numero imprecisato di persone. È costituito da due enormi cavee alte circa 12 metri e lunghe un centinaio, totalmente riempite da cumuli di crani disposti gli uni sugli altri ordinati insieme ad altre ossa. Si tratta di migliaia e migliaia di defunti che non hanno avuto sepoltura e che sono morti soprattutto durante le grandi epidemie di peste nel 1600 e di colera due secoli dopo.

A questi si aggiunsero i morti che, dopo l’arrivo dei Francesi, su disposizione di quest’ultimi, non potevano più essere sepolti nelle chiese, com’era abitudine fino alla fine del Settecento.

Il Cimitero delle Fontanelle di Napoli è un sito che, per com’è strutturato, dovrebbe essere particolarmente macabro. Ma così non è, anzi. Qui si è sviluppato il rito delle “anime pezzentelle”, emblema del rapporto che i napoletani hanno con l’Aldilà.

Il Cimitero delle Fontanelle e il rito delle “anime pezzentelle”

Il Cimitero delle Fontanelle è noto perché qui si svolgeva il rito delle “anime pezzentelle”. Tale rito consisteva nell’adozione e nella cura, da parte di un napoletano, di un determinato cranio di un’anima abbandonata – detta “capuzzella” – per trarne, in cambio, protezione.

Al “Santo personale” veniva addirittura dato un nome per distinguerlo in mezzo a migliaia di altri teschi tutti fra loro uguali.

ll cranio prescelto veniva pulito e lucidato, poggiato su fazzoletti ricamati e adornato con fiori, lumini e un rosario. Il fazzoletto veniva poi sostituito da un cuscino ornato di ricami e merletti.

L’anima prescelta appariva in sogno al suo adottante per richiedere preghiere e suffragi affinchè alleviasse le sue sofferenze in Purgatorio, il fedele, dal canto suo, chiedeva in cambio una grazia o cose meno mistiche come i numeri vincenti da giocare al lotto.

Se la grazia non veniva accordata, il fedele abbandonava il teschio e sceglieva un’altra capuzzella; se invece le grazie venivano concesse, il teschio veniva onorato con una sepoltura più degna: una scatola, una cassetta, una teca, a seconda delle possibilità dell’adottante.

I teschi non erano mai ricoperti con lapidi, perché dovevano essere lasciati liberi di comparire in sogno, l’unico mezzo di comunicazione tra i vivi e i morti.

In un ambiente così suggestivo e nell’ambito di una tradizione così fortemente radicata, si sono sviluppate leggende che hanno favorito il processo di personificazione delle “anime pezzentelle”.

Ecco dunque la figura di Lucia, una giovinetta morta subito prima del matrimonio, il “monaco” (o’ capa e Pascale), in grado di far conoscere i numeri vincenti al gioco del Lotto, “donna Concetta” meglio nota come “a’ capa che suda”.
Discorso a parte quello legato alle leggende sulle storie dei bambini, in particolare quella di “Pasqualino”.

Particolarmente emblematica la figura dell’“o’ capitano”. Questo teschio era stato adottato da una povera ragazza la quale, rivolgendogli tutte le sue cure e preghiere, lo supplicava perché le facesse trovare marito. Così avvenne e, prima di andare all’altare, la giovane volle ringraziare il teschio per la grazia ricevuta. Il giorno delle nozze tutti erano attirati dalla presenza in chiesa di uno strano tipo vestito da soldato spagnolo che, al passaggio degli sposi, sorrise alla ragazza e le fece l’occhiolino. Il marito, ingelosito, lo affrontò e lo colpì ad un occipite con un pugno.

Tornata dal viaggio di nozze, la giovane si recò subito al cimitero per ringraziare il suo teschio e lo trovò con una delle orbite completamente nera. Si gridò al miracolo ed il teschio in questione fu indicato come il “Teschio del Capitano”.

Letture sul nostro Belpaese

Il tema cimiteriale è piuttosto macabro ma, al tempo stesso, affascinante; in una parola Gotico. Non a caso esiste il cosiddetto “Necroturismo”.

Se sei appassionato del genere non rimarrai di certo deluso da “Cemetery Safari” di Claudia Vannucci. Un viaggio ai quattro angoli del pianeta che, tra citazioni pop e humor nero, ti farà scoprire che i cimiteri sono sì pieni di tombe, ma anche di storie che meritano di essere raccontate.

Concentrandoci invece sul Belpaese in senso più lato, “Walkaboutitalia. L’Italia a piedi, senza soldi, raccogliendo sogni” di Darinka Montico racconta il cammino che l’autrice ha percorso lungo lo Stivale: sola, senza soldi e con i piedi come unico mezzo di locomozione. Un cammino a mano a mano diventato una piccola ricerca antropologica sui sogni o su ciò che ne è rimasto in una società sempre più caratterizzata dal materialismo e dalla superficialità.

Articolo di Federica Ermete

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