foto di Ema giapponesi
Una foto delle caratteristiche Ema giapponesi. Foto di difotoediviaggi.it

Parliamo di Ema. Il nome non ti dice nulla? Probabile; ma chi ha avuto l’occasione di visitare un tempio shintoista in Giappone ne avrà certamente visti a centinaia (anche migliaia) in un colpo solo!

Se tra chi legge c’è qualcuno che ha avuto la fortuna di vivere un’esperienza in Sol Levante, qui potrà scoprire il significato delle tavolette di legno in cui si è regolarmente imbattuto all’ingresso di ogni tempio.

Cosa sono gli Ema giapponesi

Gli Ema sono piccole tavolette di legno su cui i credenti shintoisti scrivono preghiere, desideri, ringraziamenti, promesse etc… Per fare un paragone, forse un po’ azzardato, potremmo dire che gli Ema sono l’alter ego shintoista degli ex voto del credo cristiano-cattolico.

Gli Ema hanno, solitamente, forma e dimensione pressochè uniformi: un rettangolo di circa 20 cm x 15 cm, ma anche un pentagono o addirittura la forma stilizzata di un animale. Per esempio, gli Ema che si trovano al Fushimi Inari hanno la forma appuntita che ricorda il muso di una volpe (kitsune), messaggera prediletta.

L’immagine dell’animale sacro o icone shintoiste possono però anche essere impresse sull’Ema stesso, se la tavoletta ha una forma più semplice e regolare. Infine, su una faccia dell’Ema è generalmente riportata la parola “negai” che significa “desiderio” o – per i turisti – il corrispettivo “wish”.

All’entrata di ogni tempio ci sono chioschi che vendono Ema, amuleti di vario tipo, bacchette per incenso e porta-fortuna di vario genere.
Nei pressi di tali punti vendita ci sono poi delle bacheche (più o meno numerose a seconda dell’importanza del tempio e dell’affluenza numerica di fedeli e turisti) dove i credenti possono appendere il loro Ema dopo averlo debitamente compilato con il loro pensiero, la loro preghiera, il loro ringraziamento.
Le bacheche “porta Ema” si trovano all’ingresso dei templi, e i fedeli possono appendere la loro tavoletta votiva prima di accedere al luogo sacro o alla fine della visita, prima di fare ritorno nelle loro dimore.

Gli Ema vengono lasciati appesi in modo tale che i kami (spiriti o dei) li possano leggere. In realtà tutti li possono leggere. Soprattutto nei templi più famosi, si trovano tantissimi Ema scritti in lingue di tutto il mondo. Le richieste sono tra le più varie: dalla pace nel mondo al buon esito di un colloquio o di un esame.

L’origine degli Ema

Durante il Periodo Edo (1603-1868), epoca di massimo splendore del teatro Kabuki, divenne prassi comune, per i templi ed i santuari, ricevere Ema da parte di pittori della scuola Torii. Questi ultimi, infatti, possedevano quasi il monopolio della produzione di cartelli e di altro materiale promozionale per questi teatri, ed iniziarono a donare ai santuari grandi dipinti di attori Kabuki fatti su tavolette di legno. Nonostante i soggetti raffigurati potessero apparire insoliti per il contesto religioso, questi quadri furono ben accettati ed entrarono a far parte delle altre icone religiose dei santuari.

Scoprire attraverso i libri i mille volti del Giappone

Il Giappone è un Paese molto suggestivo; incarna il fascino dell’esotico e l’aura mistica della spiritualità. Per questo, e per molti altri fattori, da secoli attira viaggiatori e visitatori da ogni parte del mondo.

Il Giappone è un Paese davvero molto diverso dalle realtà occidentali a noi più vicine e cui siamo abituati. È un Paese dalle tradizioni millenarie sapientemente e religiosamente custodite, mantenute e perpetuate con scrupolosa dovizia. È affascinante immergersi nella cultura della sua gente e scoprire i loro riti e le loro credenze.

Per un assaggio leggero e divertente, ti consiglio la lettura molto pop di “I love Tokyo” della Pina. Se invece vuoi approfondire il discorso religioso è perfetto Lo Shintoismo: onorare i Kami: Un’analisi in lingua italiana della religione autoctona del Giappone” di Sasori; mentre, se il tuo scopo è avvicinarti alla filosofia giapponese con un approccio più psicologico, l’ideale è “Wa. La via giapponese all’armonia. 72 parole per capire che la felicità più vera è quella condivisa” di Laura Imai Messina.

Articolo di Federica Ermete

Articolo precedenteConfine. Viaggio al termine dell’Europa di Kapka Kassabova – Recensione
Articolo successivoLE ANTICHE VIE di Robert Macfarlane – RECENSIONE
Sotto il nome "Mappalibro" si radunano numerosi viaggiatori, blogger e professionisti del digitale che attivamente partecipano alla stesura di articoli e recensioni per questo portale. Trovi il nome dell'autore di questa recensione alla fine dell'articolo.