Copertina del libro
Copertina del libro "Il respiro dell’Everest" di Marion Chaygneaud-Dupuy

Questa recensione de Il respiro dell’Everest di Marion Chaygneaud-Dupuy è un salto fino a uno dei luoghi più remoti, spirituali e di straordinaria bellezza nel mondo. Ma non si tratta solo di questo: la storia di Marion è una continua scoperta tra natura, rapporti umani e ricerca del più profondo io interiore.

Tutto si trasformava attimo dopo attimo. Anche l’esistenza è così, impermanente, effimera come le nuvole. Le persone nascono e muoiono prese nel vortice di un ballo

 

Il respiro dellEverest di Marion Chaygneaud-Dupuy: la storia di Marion

Marion Chaygneaud-Dupuy nasce nel 1980 nella regione francese della Dordogna; vive in una casa in mezzo ai boschi, trascorrendo il tempo libero tra la scuola di circo e il più stretto contatto con la natura. La sua vita cambia quando, a 16 anni, intraprende un viaggio in India dove conosce Jack Preger, medico a Calcutta. Bastano poche ma impressionanti esperienze in terra indiana per farle capire come gli agi della cultura occidentale le avevano anestetizzato l’anima e il corpo, e come solo l’aiuto e la compassione per gli altri avrebbero potuto darle gioia: “nella mia mente si faceva strada un proposito che avrebbe segnato per sempre il mio futuro: volevo essere per il mio prossimo una presenza lieve, capace di capire lo stato d’animo delle persone e, tenendole per mano, aiutarle a superare il dolore e a uscire dalla zona d’ombra”.

Tornata in Francia, si avvicina agli insegnamenti del Buddismo zen e inizia a praticare ritiri di meditazione. Entra in contatto con gli insegnamenti di Bokar Rinpoche e, a 18 anni, decide di farsi accogliere come discepola nel suo monastero. Un nuovo capitolo di vita inizia: Marion si taglia i capelli a zero, indossa vesti semplici come tutti gli altri monaci, pratica l’astensione sessuale e il digiuno della parola. La vita al monastero è molto semplice, senza acqua ed elettricità, e scandita dalle pratiche di meditazione. Le imponenti montagne dell’Himalaya fanno da sfondo alle sue giornate, e la natura volubile le dà continuamente modo di riflettere sulla transitorietà della vita: “tutto si trasformava attimo dopo attimo. Anche l’esistenza è così, impermanente, effimera come le nuvole. Le persone nascono e muoiono prese nel vortice di un ballo”.

Un nuovo capitolo de Il respiro dell’Everest di Marion Chaygneaud-Dupuy inizia quando la giovane si unisce ai pastori nomadi Changpa, studiando al contempo all’università di Lhasa in Tibet, dove si trasferisce. Si lega tantissimo al Tibet, sentendo sulla sua pelle la sofferenza, ma anche la spiritualità e la purezza, di questa terra. Anche quando decide di interrompere ogni pratica religiosa, nel suo cuore resta la salda convinzione di voler aiutare gli altri a liberarsi dalla sofferenza, e questo è ciò che la accompagna sempre.

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Il respiro dell’Everest in armonia con gli esseri umani

Poco dopo il suo arrivo in Tibet, per una serie di coincidenze Marion diventa guida di trekking in Himalaya. Facendo cinque o sei trekking che durano dalle due settimane ai due mesi, passa gran parte del suo tempo in montagna, imparando sul campo dalle guide tibetane e mettendo a frutto la disciplina e la capacità di concentrazione e sopportazione che aveva appreso durante gli anni di vita monastica. Queste esperienze la estraggono dal suo isolamento – nel quale aveva creduto di trovare la sua vera vocazione – per metterla in contatto con gli altri esseri umani. La vita in montagna è sinonimo, infatti, di profondo rispetto e fiducia reciproca: “la montagna crea potenti legami. In spedizione condividevamo le settimane di attesa, i giorni di marcia, i momenti di soddisfazione e quelli di apprensione. La comunicazione era ridotta all’essenziale, fatta di molti sguardi e profondi silenzi; l’esperienza comune valeva per tutti i discorsi. Affrontavamo insieme un ambiente spesso ostile, dipendevamo gli uni dagli altri per sopravvivere, non c’era spazio per il superfluo e i conflitti venivano messi a tacere”. Fidandosi degli altri in situazioni ardue, Marion lascia cadere le proprie barriere, non ha più paura di creare legami e impara il più profondo significato di parole come pazienza, condivisione e umiltà.

Clean Everest e l’impegno ecologico di Marion

“Se non fossi costantemente a contatto con la natura, non mi sentirei viva”: così inizia Il respiro dell’Everest di Marion Chaygneaud-Dupuy, e questo rapporto essenziale con la natura resta vivo e presente per tutta la durata del libro. Marion fa sua la convinzione tibetana secondo cui non esiste una dicotomia tra uomo e natura, bensì una totale e ancestrale interdipendenza fatta di rispetto e armonia.
In tutti i suoi progetti, Marion coglie sempre la possibilità di integrare i valori del Buddismo ad attività legate al mondo della montagna.

Crea il progetto solidale ed ecologico Clean Everest con uno scopo ben preciso: “avevo visto l’incredibile bellezza di questa montagna avvolta nella luce dei suoi cieli infiniti. Avevo scoperto anche la quantità di immondizia che la feriva. Sarei tornata, più determinata che mai, per liberarla da tutto quello che mortificava la sua purezza”. Questo meraviglioso ecosistema, infatti, è stato messo sotto pressione da tre decenni di spedizioni, che hanno disseminato sul versante tibetano oltre dieci tonnellate di rifiuti. Grazie a Clean Everest, queste dieci tonnellate vengono quasi tutte ripulite nel giro di quattro anni. Un così importante risultato, forse, è dovuto proprio alla non ricerca spasmodica del risultato, a un amore che trascende la bellezza e che si concentra sul presente: “un proverbio tibetano dice: «Non esiste un cammino verso la felicità, la felicità è il cammino». È qui e ora. Non mi chiedevo quando la montagna sarebbe stata pulita: l’amavo così com’era in quel momento. Apprezzare ciò che esiste al momento, anche i rifiuti, forse, è la sostanza dell’amore vero”.

Recensione di Agnese Sabatini

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