Un diario di vita intenso, la descrizione inaspettata di un luogo troppo denso di pregiudizi, le possibilità di crescita, amicizia e scoperta che nascono dal niente. Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia è una vera e propria full immersion in un mondo che conoscevamo solo per sentito dire, ma che può regalarci emozioni, sorprese, sorrisi. Quella di Gabriele è una Kabul mai vista. Una Kabul piena d’anima e di anime, difficili ma emozionanti da raccontare e da leggere.
Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia: alla scoperta della Kabul di tutti i giorni
Pubblicato nel 2012, quello di Gabriele Maniccia è il racconto autobiografico di un periodo di permanenza a Kabul come cooperante internazionale, inviato dall’Italia per contribuire alla restaurazione della pace. Gabriele alloggia nel Dreamland Hotel, un albergo modesto ma intimo, dove si possono fare gli incontri più disparati e sentirsi più o meno al sicuro da una città che può rivelarsi ancora molto pericolosa. Al Dreamland Hotel Gabriele fa amicizia soprattutto con Soomsur, il gestore dell’albergo, nonché voce innocente e sincera che gli permette di capire di più del popolo afghano di quanto si possa studiare o leggere sui libri.
Eppure, nel suo tempo libero Gabriele ama uscire dalla sua tana, esplorare nuovi angoli della città di Kabul, incontrare nuove persone, conoscere sempre di più dello stile di vita di uomini, donne e bambini che sembrano aver perso tutto ma che continuano a vivere secondo i propri principi. Gabriele non ha il piglio tipico del reporter: gira con una piccola e discreta compatta per scattare le sue fotografie (molte delle quali sono riportate nel libro nella loro versione in bianco e nero), e non attacca bottone con le persone con l’intento di intervistarle: vuole solo conoscere, capire e, forse, farsi accettare. Queste incursioni pacifiche producono fotografie di momenti vissuti, racconti e aneddoti della vita di tutti i giorni. E Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia è proprio questo: una serie di piccoli capitoli, ognuno dei quali racconta uno spaccato di vita, un piccolo frammento di verità di un luogo che conosciamo solo dai giornali ma che, invece, avrebbe molto altro da raccontare.
Kabul vista dagli occhi di Gabriele Maniccia
“Trent’anni di guerra hanno sconvolto irreparabilmente la vita della gente che è rimasta qui. Le condizioni sono oggettivamente molto difficili; manca ogni genere di prima necessità e sembra non esserci alcuna prospettiva per l’immediato futuro. Sono tutti senza distinzione vittime di una guerra che ha alterato la percezione delle cose, comprese le catastrofi naturali, il tempo, le malattie”.
Sono interessanti le descrizioni che Maniccia ci fornisce di Kabul. Sono descrizioni frammentate, perché l’intento dell’autore non è didascalico, bensì quello di registrare su carta ciò che i suoi occhi vedono giorno dopo giorno, durante la sua permanenza di oltre un anno a Kabul.
Almeno teoricamente, la guerra è finita. Ma i suoi atroci segni restano ben visibili ovunque: nelle strade di polvere e fango, negli scheletri delle case, negli occhi velati degli afghani, nel senso costante di allerta e precarietà. Militari di diverse divise si aggirano per le strade, blindati difendono i luoghi della città che più sono a rischio, e piccoli attentati continuano a ripetersi. Inoltre, anche se i talebani non ci sono più, alcune situazioni restano molto precarie, come il trattamento delle donne o i traffici illeciti di armi. Lo stato di cose in cui Maniccia si trova a vivere a Kabul, insomma, non è proprio dei più pacifici. Ma la sua penna riesce a cogliere anche piccoli frammenti di bellezza: le verdi vallate che circondano la città, le montagne innevate in lontananza, una risata che viene dal cuore, i bambini che giocano a pallone. Kabul appare, insomma, come una città ancora in definizione; una città dove, forse, lo stato di guerra e di instabilità sembra essere quello più naturale, dove si vendono proiettili dal fruttivendolo, ma anche una città dove è tangibile una timida voglia di ricominciare.
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Le sfaccettature del popolo afghano
“In ogni momento si rischia lo scontro frontale perché si viaggia senza fari, o di investire il malcapitato di turno in bicicletta, non visibile per l’oscurità, come anche una donna in burqa che appare all’improvviso come un fantasma in mezzo alla strada. Ma ognuno rallenta, schiva, riparte e scompare nel buio, senza scenate pubbliche. Gli afghani non se la sentono di litigare per la strada per una precedenza o un tamponamento. Litigano, si combattono e si uccidono per altri motivi”.
E così, pagina dopo pagina, Kabul Dreamland Hotel ci permette di entrare per un pochino nella vita di queste persone; conoscerne i tratti del viso, le credenze, i modi di pensare e di agire. Gabriele Maniccia racconta tutto con un linguaggio molto semplice: la scrittura è a volte distaccata, dal tratto quasi giornalistico, ma spesso traspaiono le sensazioni, le emozioni e i pensieri di Gabriele, i suoi dubbi e la sua sorpresa. Il popolo afghano di Kabul appare contraddittorio, diffidente, a volte chiuso, eppure emergono infiniti frammenti di gentilezza, tenerezza, emozione, sofferenza, amore. Il popolo di Kabul raccontato da Gabriele Maniccia è un popolo come tutti gli altri: forse fin troppo ferito da anni e anni di guerre e sacrifici, ma comunque ancora capace di sognare, di amare, di vivere.
Di Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia mi è piaciuto proprio questo: la capacità dell’autore di registrare e raccontare il bello e il brutto di questa città e dei suoi abitanti, senza nessuna forma di giudizio e con il giusto grado di coinvolgimento.
Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia non è un libro di viaggi, ma…
Gabriele Maniccia non compie un vero e proprio viaggio: il suo è un trasferimento temporaneo a Kabul per motivi lavorativi. Eppure, proprio perché diventa un membro fisso della comunità cittadina (o almeno, ci prova), il suo sguardo su Kabul e i suoi abitanti è acuto, sincero, approfondito, rivelatorio: noi lettori non avremmo potuto impararne più di così da un viaggiatore che fosse di passaggio. Inoltre, Gabriele Maniccia ci racconta le sue esperienze e ciò che conosce di Kabul in maniera molto semplice, puntuale, cristallina: il suo stesso modo di approcciarsi a ciò che vede è quello del viaggiatore, che esprime curiosità e meraviglia (nel senso di “meravigliarsi”, non per forza positivamente), che desidera scoprire e conoscere, per poi provare a capire e, di conseguenza, a capire meglio anche lati di se stesso e del suo stesso popolo.
Ecco, per tutti questi motivi l’autore indossa le vesti del vero e proprio viaggiatore, ed è per questo che in Kabul Dreamland Hotel di Gabriele Maniccia il senso del viaggio emerge da ogni pagina con vigore.
Recensione di Agnese Sabatini