Copertina del libro "Le antiche vie" di Robert Macfarlane
Copertina del libro "Le antiche vie" di Robert Macfarlane

Fare una recensione di un libro come Le antiche vie , dell’ autore Robert Macfarlane , è come voler ingabbiare il corso di un fiume, tale è la ricchezza lessicale, la potenza espressiva e la varietà di generi che confluiscono in quello che è un emozionante elogio del camminare, come il sottotitolo stesso indica.
Siamo davanti a un libro dove il viaggio va oltre il viaggio, trasformando ogni cammino in una storia ricca di paesaggi naturali, che diventano specchio di quelli interiori.

“Il patto tra scrittura e cammino è tanto antico quanto la letteratura stessa: una passeggiata può facilmente diventare una storia, e non c’è sentiero che non abbia qualcosa da raccontare”

SULLE ORME DI ANTICHI PASSI TRA SPAGNA, TIBET, PALESTINA

Le antiche vie di Robert Macfarlane è un libro che nasce dai passi dell’autore.
Le pagine vengono scritte durante l’esperienza del cammino che lui intraprende partendo dalla sua casa a Cambridge: come se la scrittura sgorgasse direttamente da quella vocazione al movimento, che risulta imprescindibile per riportare sulla carta gli incontri avvenuti, i paesaggi attraversati, le storie celebrate.

Quello che ne viene fuori è un intrigante, nonché entusiasmante, mix di generi: il diario di viaggio si fonde ora con la forma del saggio, ora con la riflessione filosofica, la divulgazione scientifica e la biografia.
È così che il lettore si trova di fronte una narrazione caleidoscopica che racconta i quasi duemila chilometri di strade, piste e sentieri percorsi a piedi dall’autore, tranne per la meravigliosa eccezione del capitolo che ha come elemento dominante l’acqua.
In questo caso le antiche vie narrate sono rotte antiche di marinai impavidi e lupi di mare indomiti; vie d’acqua delle quali l’autore scrive in modo magistrale, soffermandosi ora sui luoghi, ora sulle leggende, gli usi o le canzoni a queste legate.
Come nel caso di Sula Sgeir: un’isola scozzese tra le più remote, sperduta nell’Atlantico del Nord e popolata soltanto da vari animali, tra cui le sule che ogni estate attirano sull’isolotto gli uomini di Ness, diretti lì per cacciarle.

A completare il mosaico errante del libro ci sono anche i cammini compiuti in Gran Bretagna, come quelli lungo la Icknield Way con i suoi ammalianti sentieri gessosi, o quelli più aspri sui monti Cairngorm, il freddo e selvaggio gruppo montuoso della Scozia nordorientale.
Cammini di torba e di brughiere, popolati di pini, erica e allodole.
Uno scenario che si contrappone a quello che invece troviamo nelle pagine dedicate ai paesaggi calcarei e desolati della Palestina o ai luoghi mistici e rarefatti del Minya Konka, una delle montagne sacre del buddismo nel Tibet Occidentale.

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IN CAMMINO CON LO SCIAMANO DEI PAESAGGI

Robert Mcfarlane , considerato uno dei poeti della natura, non è semplicemente uno scrittore. È anche un’alpinista che ha iniziato a coltivare la passione per l’alpinismo fin da ragazzino, collabora con la BBC e il Guardian e insegna presso l’Università di Cambridge.

Lo stile della sua scrittura, gorgogliante come un ruscello di montagna, fa vibrare il libro ad ogni frase ed esalta la sua particolare predisposizione a entrare in connessione con la natura. Qualità accompagnata da una piacevole ironia che, insieme alle sue affascinanti conoscenze naturalistiche e alla vasta cultura umanistica che possiede, rende Macfarlane la compagnia che qualunque camminatore o viaggiatore vorrebbe accanto, chilometro dopo chilometro.
Oltre a farne uno scrittore capace di ricalcare perfettamente con le parole tutto quello che i suoi sensi catturano.

Quella dello scrittore inglese, infatti, è una scrittura sensoriale che deriva da un pensiero incarnato: una concezione corporea del paesaggio che, per aver luogo, fa appello ad una frequentazione attiva dei luoghi.
Una nuova modalità del camminare, che riabilita tutti i sensi per disinnescare quell’abitudine che ogni giorno appiattisce la nostra percezione della natura.

UN LIBRO PER RIEDUCARE I SENSI

Il grande merito di un libro come Le antiche vie non è soltanto quello di farci viaggiare lungo sentieri che hanno segnato la storia, ma soprattutto quello di mostrarci e ricordarci come, per tornare a vedere di nuovo la natura e a viverla in maniera totalizzante, non basta contemplare i paesaggi, ma occorre attraversarli con “gli occhi nei piedi”.
Una necessità che Macfarlane esprime attraverso una scrittura materica che accompagna il lettore in quello che, alla fine, altro non è che un percorso che parte dall’esterno per calcare i sentieri dell’interiorità.
Lo stesso che, come scritto sulla quarta di copertina, viene compiuto da “ogni uomo che esce fuori per conoscersi dentro”.

Non a caso a dare il titolo ai vari capitoli sono proprio gli elementi naturali che dominano i territori raccontati di pagina in pagina: gesso, limo, acqua, torba, etc.
Tracce che segnano un cammino che parte dalle strade, incontra le diverse specie viventi e culmina arrivando all’uomo.
Tra le pagine più emozionanti, infatti, troviamo quelle delle cosiddette “biogeografie”, come le definisce Macfarlane . Si tratta della ricostruzione della vita di quegli uomini che hanno trasmesso all’autore la passione per il camminare. In questo caso il poeta inglese Edward Thomas e il pittore Eric Ravilious.

Recensione di Gabriella Ferracane

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