Copertina del libro
Copertina del libro "L'uomo in cerca di senso" di Viktor E.Frankl

“Poco prima di addormentarmi, in quella prima notte trascorsa ad Auschwitz, mi sono giurato, per così dire con una stretta di mano, di non correre nel filo spinato.”

I campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, nonostante ormai siano quasi passati settantacinque anni dalla loro liberazione, continuano a far discutere e non solo per la cenere che, nei giorni di vento e di sole, ancora adesso si solleva dal suolo di Birkenau.Alcuni, come il padre di Liliana Segre, non hanno mai più fatto ritorno da essi, mentre altri, come lo scrittore Primo Levi, pur essendo sopravvissuti all’inferno, sono stati sconfitti dalla violenza del ricordo.

Viktor E.Frankl invece, autore di L’uomo in cerca di senso, non solo è riuscito ad uscire da Auschwitz, ma anche a tracciare un ritratto psicologico dell’umanità incontrata negli altri tre campi in cui è stato, tra cui quello di Terezin.Il suo libro però non è un semplice memoriale, né tanto meno si limita a mostrare la verità nuda e cruda dei lager nazisti, ma è anche un saggio in cui, attraverso testimonianze di vita e sofferenza vera, illustra la teoria della logoterapia.

Questa teoria, messa a punto proprio dallo psicologo austriaco, sostiene che l’uomo, anche nelle situazioni più difficili, ha sempre l’impulso di andare alla ricerca del significato potenziale della vita. Ed ecco perché, come teorizza Frankl, malgrado i prigionieri dei lager siano stati ridotti allo stato di animali, sono riusciti a superare quella prova così estrema e disumana.

 

 

“Mettimi come sigillo sopra il tuo cuore, poiché forte come la morte è l’amore.”

“L’uomo in cerca di senso” di Viktor Frankl: trama

 Viktor Frankl, psichiatra austriaco, iniziò il suo viaggio drammatico nel settembre del 1942 quando viene portato a Terezin, un campo di concentramento della Boemia, prima di essere trasferito dapprima ad Auschwitz-Birkenau, poi a Kaufering III e a Türkheim.

 Durante il suo percorso sfuggì diverse volte alla morte,ma lungo lo stesso venne anche spogliato di tutto: dei suoi averi, della sua famiglia, deportata anch’essa e che non rivide mai più, dei suoi amici e della sua stessa dignità.
Rientrato a Vienna, malgrado una prima bozza del manoscritto fosse andata perduta prima di entrare nel lager di Auschwitz-Birkenau, dettò in appena sette giorni le sue memorie, dalle quale sarebbe poi scaturito L’uomo in cerca di senso.

 Un libro che ha influenzato la vita di numerose persone, in particolare per il messaggio che, a sorpresa, Viktor Frankl ha racchiuso in 160 pagine che in apparenza sembrano trasudare solo morte: la vita vale la pena di essere vissuta, anche nella condizione più miserabile.

 “L’uomo in cerca di senso” di Viktor Frankl: recensione

Nonostante il messaggio che racchiuda nelle sue pagine sia molto interessante e attuale, L’uomo in cerca di senso di Frankl non è un libro per tutti.
Difatti, nonostante sia concentrato in poco più di 100 pagine, in alcuni punti non solo richiede una concentrazione estrema, ma anche una o più riletture.

Un altro dettaglio che non mi è sfuggito è che, a differenza di altri libri che ho letto, per comprendere appieno Frankl è necessario (e lo sottolineo) che intorno ci sia rumore, come ad esempio quello provocato dalle chiacchiere incessanti dei passeggeri di un treno. In questo contesto, anche se può sembrare strano, non solo sono riuscita ad addentrarmi di più nella lettura del saggio, ma anche ad evitare di essere distratta.

Anzi, per quanto in quel momento sul treno da Frosinone a Roma ci fosse il caos, di per sé sembrava che intorno a me ci fosse il silenzio: Frankl è riuscito a tapparmi le orecchie e a portarvi altrove, o meglio, a farmi immergere a fondo nelle sue riflessioni.

Per dirla in parole più secche, mentre leggevo frasi di L’uomo in cerca di senso che recitavano “È chiaro, pertanto, che ogni tentativo di opporsi attivamente ai fenomeno psicopatologici originati dall’internamento – seguendo i principi psicoterapeutici e di igiene mentale – porta necessariamente ad incoraggiare l’uomo del Lager, ad indurlo ad indirizzarsi nuovamente verso il futuro, verso uno scopo futuro…”, sarebbe potuta cadere la terza bomba atomica, o scoppiare una seconda Cernobyl, che io non mi sarei accorta di nulla.

Per quanto concerne il contenuto del libro in sé, L’uomo in cerca di senso racconta, una dopo l’altra, tutte le esperienze (e anche i fatti visti) vissute da Viktor Frankl nei campi di concentramento in cui è stato internato, ma nonostante alcune di esse siano davvero terribili (è il caso, per esempio, della spogliazione dei compagni morti, vere e proprie ricchezze per gli altri detenuti), lo psichiatra non solo mantiene la sua umanità, ma non si lascia mai andare una volta alla disperazione né tanto meno palesa la sua sofferenza.

Anzi, in quanto medico, non solo rincuora i compagni e, in più di un’occasione, riesce anche ad ingraziarsi i kapò e i gerarchi nazisti, ma attraverso il suo sguardo attento e oggettivo ci restituisce anche immagini che, se ci pensiamo, rasentano il limite della povertà, ma nelle quali, guardando in modo più attento, sembra quasi arrivarci un soffio di vita.

Un esempio su tutti? L’episodio della distribuzione della minestra, che avveniva una volta al giorno, una brodaglia insipida e acquosa, ma che per gli internati dei lager diventava subito il paradiso quando, immergendo il mestolo sul fondo del pentolone, il kapò qualche pezzo di patata, due o tre piselli o, se si era “fortunati”, un pezzo di carne.

L’uomo in cerca di senso è in formato tascabile, ma visti gli argomenti affrontati, la scrittura e le riflessioni tutt’altro che semplici, sia da leggere sia da comprendere, ti consiglio di affrontarlo solo se sei abituato a leggere un certo tipo di letteratura impegnata o nutri una passione smodata per i saggi filosofici.

 In caso contrario, a meno che tu non sia un amante delle sfide impossibili, meglio che opti per un libro più leggero e scorrevole, perché sennò, arrivato neanche alla metà del saggio di Frankl, potresti avvertire l’impulso di chiuderlo e di parcheggiarlo (e avresti anche tutte le ragioni del mondo) in uno scaffale della tua biblioteca.

Recensione di: Francesca Orelli.

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