Copertina del libro
Copertina del libro "Nelle terre del condor e del colibrì” di A. Maiolo e F. Ferrauto

Nelle terre del condor e del colibrì , degli autori A. Maiolo e F. Ferrauto è un libro di viaggio che mette l’accento su uno degli aspetti fondamentali per un viaggiatore, ovvero la curiosità verso l’altro. Un desiderio di scoperta che dà vita a pagine cariche di incontri, rituali e tradizioni dal fascino magnetico, che fanno della cultura indigena del Sud America un’esperienza imperdibile.

L’idea era quella di esplorare le tradizioni dei popoli indigeni, di fare esperienza delle loro pratiche mistiche, certi che la poesia di un continente in cui c’è ancora chi si relaziona col cosmo e sonda l’insondabile ci avrebbe in qualche modo migliorato.

Viaggio nella culla delle tradizioni precolombiane

Nella vita, così come durante i viaggi, attraversiamo tantissimi spazi e anche tantissimi luoghi.
La differenza tra i due sta nel fatto che lo spazio è qualcosa che attraversi, che misuri, mentre il luogo è quello che riporta l’impronta emotiva e culturale di chi vi sosta o di chi ci ha vissuto; è il territorio della memoria.
Il luogo è uno spazio vissuto e per questo intessuto di emozioni, ricordi, tradizioni e delle soggettività di chi lo abita, rendendolo così quel che è.
Ecco perché spesso si dice che sono le persone a fare i luoghi, così come spesso ci basta avere vicino semplicemente una determinata persona per sentirci a casa.

Nel libro Nelle terre del condor e del colibrì i protagonisti scelgono proprio di partire alla scoperta, non solo dei luoghi del centro e sud America, ma soprattutto dell’anima di questi luoghi, che viene dal fascino irresistibile delle popolazioni indigene.

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Alla scoperta della spiritualità dell’America Latina

Una delle cose più belle del viaggio, secondo me, è che esattamente come i vestiti che portiamo o le persone che frequentiamo, il tipo di viaggio che scegliamo di fare, il modo in cui decidiamo di farlo e i motivi che ci spingono a intraprenderlo, dice molto sulle persone che siamo o che vorremmo essere, ma anche su quello che cerchiamo e sui desideri che abbiamo.
Ecco perché partire e viaggiare sono due cose molto diverse: si parte per svago, per evadere o per far le vacanze e si viaggia per scoprire di più sul mondo là fuori, ma soprattutto dentro di noi, per mettersi alla prova o per cercare risposte, per incontrare il diverso e l’ignoto, per ampliare i nostri orizzonti fisici e mentali.

Quest’ultimo desiderio è proprio quello che ha portato i protagonisti del libro Nelle terre del condor e del colibrì a intraprendere quel viaggio che nel 2019 li ha catapultati da Roma all’America Latina.
Un desiderio di poter incontrare l’anima più autentica del Sud America, quella delle persone che noi comuni europei siamo sempre stati abituati a incontrare nei film, tra i libri o in qualche documentario.
Sono gli artisti che suonano, animati da un misticismo ancestrale; gli sciamani che mettono in pratica la saggezza della Pacha Mama; i sacerdoti che danno vita tutt’oggi ad antichi rituali e i guaritori che sfruttano il potere curativo della natura con estremo rispetto.

Tra sciamani, sacerdoti maya e curanderos

Quello che più ho amato del libro di Maiolo e Ferrauto è che il loro racconto di viaggio è capace di conquistarti come un film dalla trama ricca di personaggi speciali, che lasciano il segno, non solo sulle pagine del libro ma anche in chi legge.
La loro avventura dà vita ad un’esplorazione del panorama umano dal gusto antropologico e spirituale, senza scadere mai in una narrazione noiosa o banale.

Viaggiando tra Bolivia, Perù, Messico, Ecuador, la loro identità di stranieri in un paese sconosciuto finisce con l’essere sempre più scalfita e rimodellata dalle interazioni che i protagonisti hanno la fortuna di sperimentare.

Di pagina in pagina, la loro distanza con i popoli indigeni si accorcia gradualmente sempre di più, tra pranzi presso le abitazioni di qualche locale che li accoglie o un soggiorno in qualche villaggio remoto tra gli sciamani delle Ande.
Come succede, ad esempio, con il bellissimo personaggio di Luis: uno sciamano ordinario, come lui stesso si definisce, ovvero uno sciamano ancora al primo livello del suo percorso sciamanico.
Luis fa parte dei Q’ero, cioè quelli che vengono considerati gli ultimi Inca e i protagonisti del libro hanno il privilegio di vivere per un po’ nel suo villaggio nei pressi di Cochamoco, una vallata incastonata tra le Ande, raggiungibile solo grazie ad ore e ore di cammino ad altitudini vertiginose.

Particolarmente suggestivo anche l’incontro con Siku Mamani, il musicista aymara incontrato durante un concerto magico, nei giorni passati a La Paz, che suonava soltanto gli strumenti che esso stesso costruiva, e produceva musica seguendo le vibrazioni del Cosmo.

E questi sono solo alcuni dei personaggi imperdibili che potrai conoscere tra le pagine di un libro dove il viaggio diviene semplicemente un ponte per raggiungere persone speciali che ti aiutano a guardare il mondo come non l’avevi mai visto prima, per andare oltre la realtà ordinaria e tornare a casa con un bagaglio molto più prezioso di quello con il quale si è partiti.

Recensione di Gabriella Ferracane

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