Copertina del libro
Copertina del libro "Stazione speranza" di Francesco Ciprian

La recensione di Stazione Speranza di Francesco Ciprian ti farà assaporare solo una minima parte di questo viaggio straordinario; un viaggio che tocca mezzo mondo ma, soprattutto, il cuore di persone uniche.

Questo e ciascun altro viaggio che ho portato a termine non sarebbe stato altro che una pagina bianca di un libro se non ci fossero state le persone.

 

Stazione Speranza di Francesco Ciprian: intorno al mondo in bici

Francesco si licenzia dal suo lavoro alla scrivania per partire per il viaggio, senza grossi piani e programmi, solo con la voglia di esplorare l’infinito potenziale umano. Al contrario di molti altri viaggiatori a lungo termine, non parte perché è stanco della sua vita “normale”, ma perché si rende conto “di mancare degli strumenti per interpretare la vita in modo a me congeniale e penetrarla per andare oltre il frastuono di modelli che richiedono, sempre e comunque, assenso incondizionato”. E, se questo è l’obiettivo, il viaggio non delude: Stazione Speranza di Francesco Ciprian è infatti il resoconto di un viaggio in grado di ispirare riflessioni profonde, rimettere in discussione molte cose della propria vita, conoscere luoghi e persone in modo viscerale.
Da San Salvador, Francesco pedala risalendo la costa delle Americhe passando tra i contrasti infiniti dell’Ecuador, del Messico, degli Stati Uniti, del Canada. Aerei e navi lo aiuteranno poi a spostarsi tra Kirghizistan, Uzbekistan, Corea, Cina e Giappone. Mondi diversi, per non dire contrapposti, ma sempre caratterizzati da cose che colpiscono.

In Stazione Speranza di Francesco Ciprian, i luoghi sono meno protagonisti rispetto alle persone, ma la strada è ciò che connette tutto e tutti. Per Francesco, la strada è casa. È camera da letto, cucina, bagno, salotto. È documentario di vita vissuta in continua evoluzione. È tempio, oratorio, cimitero, palestra. È la scuola per eccellenza. E, insieme a lei, a fare da maestra a Francesco c’è anche la bicicletta. Perfetta compagna di viaggio, silenziosa e senza pretese, non solo gli insegna l’essenzialità di un viaggio in cui troppi beni materiali non sono accettabili; ma gli offre anche un importante esercizio di meditazione, specialmente quando pedala in montagna: “lo sguardo non si allunga mai nell’adocchiare cosa riserva il dopo curva, non ha importanza. Ciò che importa sono solo i due metri di fronte e i sette colpi di gamba necessari a percorrere tale spazio”.

Stazione Speranza di Francesco Ciprian è tutta una questione di incontri


Uno degli scopi di Francesco è quello di entrare in contatto con progetti di permacultura. La permacultura è un insieme di pratiche agricole tramite cui si costruiscono ambienti che rispondono a due obiettivi: fornire alle persone tutte le risorse di cui hanno bisogno in termini di cibo ed energia, e mantenere intatte la ricchezza e la stabilità dell’ecosistema naturale. Come dice Francesco, “la permacultura non è solo un metodo armonico e naturale di coltivare la terra, è una filosofia che abbraccia la vita nella sua totalità”.

Nel corso del suo viaggio, Francesco conosce molte persone che si dedicano a progetti di questo tipo con anima e cuore, ma anche con conoscenze approfondite e ragionamenti logici. Alla base di questi progetti ci sono concetti molto basilari, eppure fondamentali: il rispetto totale per la natura, il ritorno all’essenzialità, la condivisione. È davvero emozionante leggere di tutti gli incontri raccontati in Stazione Speranza di Francesco Ciprian: dalle pagine trasuda evidente la capacità di Francesco e delle persone incontrate di costruire legami sani, disinteressati, caratterizzati da una generosità profonda e dal piacere incondizionato del dare. “È sempre stupefacente perdermi nella generosità delle persone, è un’azione che ogni volta assaporo come fosse la prima. Ovunque le mie gambe mi abbiano portato ho incontrato persone uniche che mi hanno dato di tutto e di più: cibo, acqua, un tetto sotto il quale dormire, una casa intera, vestiti, soldi, birra, danze, consigli, saggezza e fratellanza. È bello ricevere con la consapevolezza dell’incanto intrinseco di quest’atto, che implica un dare altrettanto magico”.

Quando possibile, Francesco si ferma per diversi giorni con queste persone, adattandosi immediatamente al loro stile di vita e aiutando come gli è possibile; lo scambio di informazioni, emozioni e vibrazioni di queste giornate è qualcosa di straordinario.
Tra i vari incontri raccontati in Stazione Speranza, mi è rimasta impressa la comunità I F.L.Y., popolata di giovani provenienti da tutto il mondo e dotati di una luce interna davvero speciale. In posti come questo, le persone condividono il lavoro, gli spazi, la vita; non ci sono gerarchie e ci si prende cura degli altri come forma di cura per noi stessi. Siamo Uno, siamo un Tutto: per amare se stessi è fondamentale imparare ad amare anche gli altri esseri umani.
Un’altra storia particolare è quella di Don José, un signore che ha abbandonato ogni status sociale e ha deciso di andare andando ad abitare nel bosco. Con questo stile di vita lento e semplice, Don José ci dimostra che si può vivere senza troppi problemi a stretto contatto con la natura e, soprattutto, spogliandosi del superfluo. Decidendo di ridurre i consumi, si è reso conto che la maggior parte dei bisogni che pensiamo di avere non sono realmente fisiologici, bensì solo causati dalla società in cui viviamo che ce li propina come essenziali.

Stazione Speranza di Francesco Ciprian: sognare un mondo diverso


La parte bella del viaggio di Francesco, almeno da ciò che traspare dalle pagine di Stazione Speranza, è la sua preziosa capacità di adattarsi a ogni cosa gli capiti: a ogni stile di vita, a ogni mentalità, a ogni discorso, a ogni modo di essere. Come una spugna avida di conoscenza, Francesco ascolta, interviene, solleva dei dubbi, pone domande che a volte restano senza risposta ma che sono sempre, invariabilmente, spunti per crescere.
Conoscendo persone così diverse da lui e in grado di avere stili di vita soddisfacenti così diversi dalla normalità, Francesco ha modo di confermare ciò che, forse, l’ha spinto a viaggiare in prima istanza: che la società come la conosciamo, quella che diamo per scontata, non è l’unica forma di vita possibile. Che è invece possibile sognare un mondo diverso, dove il consumismo non sia imperante, dove le persone vivano felici nonostante – o forse proprio grazie – all’essenzialità del contatto con la natura e le altre forme viventi.
Che affibbiare etichette agli altri è solo una finzione, è l’illusione di conoscere gli altri e, al contempo, di ridurre la nostra insicurezza del non sentirci incasellati in niente di predefinito.
Che una vita attaccata al telefono non permette ai nostri pensieri di svilupparsi pienamente, perché costantemente sopraffatti dalla manipolazione delle informazioni digitali; e che, forse, il viaggio è il modo migliore per disconnettersi dalle macchine e riconnettersi col mondo. Quello reale, delle persone buone e ancora in grado di sognare.

Recensione di Agnese Sabatini

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