Tuvalu, l'isola che non c'è
Tuvalu, l'isola che non c'è

Chi di noi non è cresciuto con le avventure di Peter Pan e con l’immagine della fiabesca e leggendaria isola che non c’è? Adesso siamo grandi e non crediamo più alle favole, eppure un’isola che non c’è potrebbe esistere davvero, dall’altra parte del mondo. Purtroppo, il motivo di questa “non” esistenza non è tanto bello come la favola vorrebbe farci credere.

Tuvalu: geografia e curiosità

Siamo nel continente dell’Oceania, in quel pezzetto di Oceano Pacifico condiviso da diversi arcipelaghi come le Isole Fiji, Tonga, Samoa, Vanuatu, Kiribati… Proprio in questo “angolo di paradiso” si trova un gruppetto di 9 isole (cinque atolli e quattro isole coralline) che costituiscono Tuvalu, il quarto Stato più piccolo e il secondo Paese meno popolato al mondo dopo Città del Vaticano. La superficie totale di tutte le isole è di soli 26 km2; la maggior parte della popolazione è stanziata su Funafuti, l’isola principale e capitale del Paese, ma anche le altre isole sono abitate: Nanumea, Nui, Nukufetau, Nukulaelae, Vaitupu, Nanumaga, Niulakita, Niutao.

Un salto nel passato e nel presente di Tuvalu

Un tempo conosciuto come Isole Ellice, il Paese di Tuvalu fu anticamente abitato da alcune popolazioni polinesiane. Dopo l’arrivo degli spagnoli nel 1568, fu solo nel XIX che cadde in mano alla Gran Bretagna; quest’ultima lo amministrò come protettorato e come colonia per circa un secolo fino a che, nel 1974, gli abitanti espressero il loro voto a favore dell’indipendenza.

E nel presente? Oggi e sin dal 1978, Tuvalu è uno Stato totalmente dipendente e appartenente al Commonwealth. Ha una popolazione di meno di 10.000 abitanti, la maggior parte dei quali è di origine polinesiana. Quasi tutta la popolazione è di fede protestante e abita non in città, ma in villaggi più o meno grandi dislocati sulle varie isole. I giovani di Tuvalu devono emigrare in Australia o Nuova Zelanda per frequentare l’università, mentre gli adulti si dedicano prevalentemente alla pesca, all’allevamento e all’esportazione di copra, una lavorazione delle palme da cocco che crescono spontaneamente sul poco fertile territorio dell’arcipelago.

Nonostante la bellezza della barriera corallina e delle meravigliose spiagge bianche, il turismo di massa non è ancora arrivato a Tuvalu, e sono poche centinaia i viaggiatori che raggiungono l’arcipelago ogni anno. Di libri su Tuvalu non ne sono stati scritti molti, né da viaggiatori audaci né tantomeno dagli abitanti autoctoni di Tuvalu: qui, storie, tradizioni e racconti vengono tramandati perlopiù oralmente. Ma ti voglio segnalare il libro Where the hell is Tuvalu; esso racconta la storia di Philip Ells, un avvocato inglese molto cittadino che si ritrova a dover esercitare la sua professione in un Paese così piccolo, remoto e diverso dalla più moderna cultura occidentale. Ne esce fuori uno scritto a metà strada tra il drammatico, il sorprendente e il divertente… Un ottimo modo per raggiungere un luogo così lontano attraverso le parole di chi l’ha vissuto davvero.

Tuvalu, potenziale vittima del cambiamento climatico

Ma cosa c’entra Tuvalu con l’Isola che non c’è? Purtroppo, questo legame è tutt’altro che felice e fiabesco, perché nasce dal fatto che le isole di Tuvalu stanno soffrendo molto le conseguenze del cambiamento climatico che sta lentamente ma inesorabilmente trasformando la nostra Terra.
L’altezza massima di Tuvalu è di 4,6 metri, nell’isola di Niulakita; ma la maggior parte del territorio non raggiunge i 2 metri sul livello del mare. A causa del cambiamento climatico che scioglie i ghiacciai e aumenta la portata degli oceani, le isole dell’arcipelago di Tuvalu hanno seriamente rischiato di essere sommerse!
Negli ultimi mesi questo pericolo sembra essere rientrato; grazie ai sedimenti accumulati durante le tempeste e a un favorevole orientamento delle onde, le isole di Tuvalu sembrano addirittura ingrandirsi. Ma ciò non significa che il problema sia risolto: anzi, è solo rimandato. E non si tratta solo di restare sommersi: le coste sono frequentemente battute da onde altissime e da cicloni, e l’acqua salata penetra con violenza le poche aree abitate che devono essere quindi abbandonate. Il risultato è una popolazione letteralmente in balia delle onde: molti sono costretti a lasciare la propria casa e la propria patria, senza alcuna sicurezza sul fatto che la potranno trovare di nuovo al loro ritorno.
Sono proprio le storie come quelle di Tuvalu che dovrebbero far riflettere noi viaggiatori, amanti del mondo e dei popoli di tutto il mondo, su quanto il riscaldamento globale possa seriamente interferire sulla vita delle persone, anche a breve termine. Tutto ciò che possiamo fare lo facciamo per noi, per Madre Natura e affinché Tuvalu possa restare l’Isola che non c’è… ma solo nelle fiabe.

Articolo di: Agnese Sabatini.

Articolo precedenteLe vie dei canti di Bruce Chatwin – Recensione
Articolo successivoI Love Tokyo di La Pina – Recensione
Sotto il nome "Mappalibro" si radunano numerosi viaggiatori, blogger e professionisti del digitale che attivamente partecipano alla stesura di articoli e recensioni per questo portale. Trovi il nome dell'autore di questa recensione alla fine dell'articolo.