Copertina del libro
Copertina del libro "Un anno in barcastop” di Erica Giopp

Un anno in barcastop di Erica Giopp è il racconto di un viaggio tra i mari del mondo ed è il racconto di un anno di vita lontano dalla propria comfort zone.

È il 2016 quando Erica, ventiseienne di Pieve di Cadore, decide di prendersi l’anno sabbatico e di partire alla scoperta del mondo con un mezzo tutt’altro che convenzionale: la vela. Barattando forza lavoro in cambio di passaggi in barca, l’autrice naviga per 17.000 miglia – da Cartagena all’Indonesia – e torna a casa un anno dopo con molti meno imbarazzi e una maggior consapevolezza.

“C’è un mondo, quello in barca, che sfugge alle comuni leggi della civiltà, che sfugge ai normali rapporti umani. In barca si creano rapporti così profondi che è difficile spiegare a parole.”

UN ANNO IN BARCASTOP: IL LIBRO

Quello che per Erica rappresenta il punto d’arrivo, per me diventa il punto di partenza: era parecchio che non mi capitava tra le mani un libro così coinvolgente. Può apparire leggero ma è solo la penna talentuosa dell’autrice a renderlo scorrevole, in realtà è un libro denso di significati che si insinuano nel lettore senza ammorbarlo o appesantirlo.

Un anno in barcastop non è il classico diario di viaggio né un manuale per barcastoppisti, ma un condensato di racconti e aneddoti di vita vissuta e condivisa a bordo della barca di turno, totalmente avulso da elementi filosofici new-age o di natura pseudo-esistenziale che, spesso e volentieri, condiscono le narrazioni di chi ha vissuto esperienze forti come la sua.

Con uno stile fluido, onesto e venato di ironia, Erica racconta la sua esperienza in barcastop e affronta le differenti tematiche legate al viaggio come se fossero racconti indipendenti, ma imprescindibili l’uno dall’altro. Che tu sia l’amica della porta accanto, il lettore curioso o l’audace che vorrebbe partire e cerca lo spunto giusto per farlo poco cambia: Erica Giopp ti conquisterà e una volta chiuso il libro, ti mancherà anche un po’.

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IL VIAGGIO IN BARCASTOP

La ricerca dell’imbarco, i turni di notte in pozzetto, la vita a bordo, la bonaccia, ma anche la dieta, il nudismo, le vomitate atlantiche, i capitani coraggiosi e i compagni di traversata popolano le pagine di questo libro che attraverso la narrazione di imperfezioni straordinariamente familiari, accomuna il viaggio alla vita.

Un modo di viaggiare insolito quello di Erica, quantomeno per noi italiani perché per altri popoli, come ad esempio i polacchi, è una pratica di uso comune e corrente: non è necessario essere navigati o avere tanti soldi per partire in barca, sono però d’obbligo il self control, la tolleranza e la pazienza. Anni fa ho vissuto in confezione mignon un’esperienza simile alla sua – mi sono spacciata come cuoca a un capitano tedesco e ho rimediato un passaggio da Panama alla Colombia, passando da San Blas e navigando tra i Caraibi – per cui parlo con una certa cognizione di causa.

Non è facile trascorrere giorni (e giorni) senza avvistare terra, ma è anche dannatamente affascinante: con lo sguardo scruti l’orizzonte apparentemente immobile, e per quanto sembra che non accada nulla, la percezione che hai del mondo e di te stesso cambia.

Un anno, due capitani, tre oceani e 17.000 miglia dopo essere partita da Cartagena, in Spagna, Erica Giopp sbarca a Bali Dempasar e torna a casa consapevole del fatto che i veri eroi non sono quelli che mollano tutto per partire, ma quelli che vivono ogni giorno assaporando quello che per loro è essenziale.

I COMPAGNI DI VIAGGIO DI UN ANNO IN BARCASTOP

A vivacizzare il libro, oltre alla penna frizzante di Erica Giopp, ci sono i suoi compagni di viaggio che parlano poco, ma sanno ascoltare, e fungono da specchio per osservarsi e mettersi a nudo durante i mesi di navigazione.

Uno dei capitoli più simpatici del libro, a mio avviso, è quello dedicato all’inglese internazionale, un “capitolo che mette a dura prova nervi e pazienza, sconsigliato a latinisti, asmatici e madrelingua inglesi”.

La necessità di comunicare con persone dalle provenienze geografiche disparate, ognuna delle quali parla un inglese dotato di accento, grammatica e sintassi diversa, porta alla nascita di una lingua franca, se così si può definire, che nonostante gli errori e le conversazioni al limite dell’accettabilità consente a Erica, e ai suoi compagni di viaggio, di interagire e di entrare l’uno nel mondo dell’altro.

Non si ritrova se stessi durante un viaggio in barcastop, ma ci si fa degli amici e con alcuni di loro si crea quel rapporto difficile da spiegare a parole citato all’inizio della recensione che la spinge a crearne una ex-novo, l’SNBGR, un “sentimento che lega, che incide, che brucia talmente a fondo che non basterebbero le miglia di distanza, gli anni che passano, l’inglese che si dimentica, a sciogliere quei legami, a cicatrizzare quelle ferite, a riempire quei vuoti”.

Un anno in barcastop è un libro non convenzionale, alla stregua del viaggio e dell’autrice, ma è un libro che ti fa viaggiare come pochi sanno fare!

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