Ripercorrere la propria vita lungo le tappe vissute in bicicletta: 40 in sella di The Grandiz è una vera e propria ciclo-biografia. Leggine la recensione per scoprire quanto andare in bici sia sinonimo di libertà e di evoluzione.
40 in sella di The Grandiz: una vita scandita dalle biciclette
“Non avrei mai immaginato di poter scandire il corso della mia vita – e poterne quindi raccontare le evoluzioni più disparate – utilizzando la bicicletta come unità di misura”. Così inizia 40 in sella di The Grandiz: una sorta di esperimento letterario, una biografia che l’autore srotola sulle pagine a partire dalle diverse biciclette che ha avuto il privilegio di inforcare nel corso della vita. Da quanto ha imparato a pedalare fino ai quarant’anni, sono state ben tredici: biciclette amate e vissute fino alla fine, ognuna con una propria caratteristica e, soprattutto, con storie indimenticabili da raccontare.
Per prima venne la baby-Graziella “Carnielli”, un gioiellino di bici che fu il primo incontro di The Grandiz con il mondo delle due ruote. La ritrova in cantina un giorno di qualche anno fa: “emanava quello strano magnetismo di chi ti attrae perché ti conosce molto bene, e custodisce una parte lontanissima della tua storia. Trasmetteva quella complicità eterna di chi ti ha visto crescere e poi lasciato andare, di chi ti ha insegnato qualcosa di molto importante, di chi ha condiviso con te istantanee memorabili senza chiederti nulla in cambio”. A partire da questo re-incontro, la prima parte di 40 anni in sella è un dolcissimo salto indietro nel tempo, agli anni ’80. A quando le corse in bicicletta si alternavano a un nascondino, una palla avvelenata o un telefono senza fili, a quando si giocava per strada senza annoiarsi mai. Dopo la Graziella c’è stata la mini cross-bike Atala; con biciclette come questa, The Grandiz e gli altri bambini del vicinato potevano soddisfare ogni giorno la loro implacabile voglia di adrenalina, sconfiggendo i divieti e sfidando il senso del pericolo pedalando incauti tra le macerie dei cantieri. E poi ancora e ancora, passando dall’infanzia all’adolescenza e tracciando ogni momento di vita con una bicicletta diversa. Alcune nuove, molte usate e recuperate da qualche parte dal nonno; e sulla bici tutte le esperienze della crescita, dalle prime impennate ai primi amori, passando dalle rocambolesche cadute alle gite fuori dai confini della frazione… “ma soprattutto quell’irrinunciabile senso di libertà di movimento, di spostamento, di ricerca, di una rotta imperfetta ma autentica, sulla quale lasciare una lunga scia di memoria, sempre in sella”.
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Dalla Special ai viaggi nel mondo, sempre in sella
Dopo gli anni in compagnia della mountain bike Mondial, che l’hanno accompagnato per chilometri e attenuato la fatica dei primi lavori estivi, Marco cade in una sorta di oblio della bici, cedendo alle lusinghe del motorino prima e della macchina poi. Finalmente, dopo oltre un decennio lontano dalle due ruote, un giorno si innamora di una bicicletta in una vecchia e sgangherata bottega di Treviso. L’acquista in poco tempo, nessuna indecisione. Inizia così un nuovo capitolo della sua vita con la Special: “Dopo moltissimi anni di silenzio ciclistico stavo tornando alla mia passione primordiale: sfrecciare in sella a una due ruote con il vento in poppa”.
La Special accompagna The Grandiz per molti anni, aiutandolo a superare decine e decine di chilometri, di dislivelli, di insicurezze e di momenti difficili di vita. Perché la bici è così: basta salirci e iniziare a pedalare per esorcizzare i momenti più bui che la quotidianità ci riserba. Nel suo 40 in sella, The Grandiz ci racconta quindi di epiche ascese e discese tra i paesaggi del Veneto e del Friuli, tra le anse di fiumi millenari e il raccoglimento in luoghi spirituali; ma anche degli anni di pendolarismo a Venezia, tra le corse in treno, vaporetto e bici.
Non mancano poi le avventure in terre extra-confine. Dalle foreste rigogliose della Germania, dove The Grandiz trascorre un periodo dolce-amaro della sua vita, fino alle disavventure tragi-comiche tra i grattacieli di Tokyo o di Singapore, passando dai paesaggi sconfinati di Gran Canaria e di Sèrifo, una sperduta e poco turistica isoletta delle Cicladi. Questi sono i capitoli che mi sono piaciuti di più di 40 in sella di The Grandiz: Gran Canaria e Sèrifo hanno qualcosa in comune nei loro panorami a volte brulli, fatti di rocce riarse dal sole cocente e spiagge a volte deserte, di un paesaggio che è ostile e accogliente al tempo stesso. In entrambi i casi, The Grandiz esplora le isole in bici per recuperare il proprio tempo, il proprio spazio, il contatto con la natura e la più totale libertà di movimento.
La bici come simbolo di libertà
È questa libertà che The Grandiz va cercando da sempre nella sua vita, e che la bicicletta ha sempre dimostrato di potergli offrire in modo incondizionato. O, forse, una condizione c’è: quella di mettersi in gioco, di non ritirarsi mai, di continuare a pedalare fino alla vetta nonostante il fiato corto e i polpacci in fiamme. La condizione di fare scelte a volte un po’ incoscienti, come quando si decide di affrontare un viaggio con una bici non adatta ai terreni previsti, o di continuare a pedalare quando le condizioni non sono perfette. Ma, in fondo, a volte è proprio questa adrenalina, questa voglia di avventura e di affrontare le eventuali avversità che ci spinge, ancora prima di qualsiasi altra cosa, a intraprendere un viaggio.
E il viaggio con la bici, più che con qualsiasi mezzo a motore, è capace di portarti davvero altrove. Un altrove che può essere vicino o lontano, non importa: basta che faccia assaporare quel senso di libertà tanto cercato, che ci porti “lontano dai falsi miti che ci tengono incatenati a certezze elusive”, che ci aiuti a dare nuova linfa vitale a un mondo e un ambiente sempre più in agonia. D’altronde, come The Grandiz si chiede: “Non sono forse questi i momenti nei quali riusciamo a neutralizzare gli assurdi ritmi a cui ognuno di noi si sottopone nella propria quotidianità? Non è forse attraverso il viaggio a contatto con la natura che possiamo recuperare quell’essenzialità, soffocata dall’inesorabile disumanizzazione delle nostre vite post-contemporanee?”. La più ovvia risposta è probabilmente un grande, risonante sì.
Recensione di Agnese Sabatini