Rita Sozzi, autrice del libro Canto notturno di una ciclista errante per l’Asia , è molto più di una semplice viaggiatrice. È una vera e propria guerriera che, alla sella del cavallo, ha preferito quella della sua bici, ma che ha la stessa tempra di certi antichi guerrieri mongoli, le cui gesta riecheggiano tra le pagine del suo libro. Un diario di viaggio che regala avventure incredibili, tra Russia e Mongolia, ma che soprattutto insegna che la volontà è il mezzo più potente per viaggiare fino in capo al mondo.
DIARIO DI UNA CICLISTA SULLE ORME DI LENIN E GENGIS KHAN
Il libro di Rita Sozzi è un diario di viaggio , estremamente dettagliato, la cui piacevolezza prende corpo già dall’estetica del libro stesso: le sue pagine, infatti, sembrano quelle di un album di ricordi, dove ad ogni racconto si accosta una foto che mostra un particolare evento, un incontro importante o la bellezza di un luogo che racconta molte storie senza bisogno di parole.
Così, di pagina in pagina, l’impressione che avrai è quella di aver davvero messo piede tu stesso in quei luoghi dislocati dall’altra parte del mondo e di aver tirato fuori il tuo cellulare, per catturare tutto il bello e il brutto di ogni cittadina, collina, paesino, ostello o locale.
Ecco perché, prima di leggerlo questo libro, è bello anche semplicemente sfogliarlo, per godersi quello che è anche un bellissimo album di foto, come quelli che ormai oggi non trovano più posto nelle nostre case, sostituiti da una cartella sul cellulare.
I riferimenti storico-politici poi e le citazioni letterarie, soprattutto, disseminate qui e là, permettono di conoscere meglio l’anima dei diversi luoghi tra Russia e Mongolia, godendo dell’aspetto poetico della natura che li contraddistingue, del temperamento dei popoli e dell’atmosfera culturale che, solo un poeta, è in grado di restituire con quei versi che trasformano il viaggio in poesia.
Sarà anche che Rita è una professoressa di lettere e quindi non può non cogliere il fascino dei luoghi, anche attraverso le parole di coloro che nei secoli ne hanno scritto, dando voce alle strade, alle montagne, al corso dei fiumi argentei sotto al sole o al gorgogliare dei ruscelli baciati da una falce di luna.
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UN’AVVENTURA IN BICI LUNGO LA TRANSIBERIANA E LA TRANSMONGOLICA
Di pagina in pagina, la bici della Volpe a pedali, pseudonimo che Rita Sozzi ama usare per indicare se stessa, corre sulle strade come una penna sulle pagine di un quaderno, portandosi dietro storie fatte di pioggia battente, steppe infinite, montagne innevate, incontri fortunati, sapori inconsueti.
Considerando le distanze della Transiberiana e della Transmongolica, più che un viaggio siamo davanti a una vera e propria impresa, dove il vero bagaglio indispensabile al viaggio è una volontà d’acciaio, un cuore impavido e tanta tanta fame di avventura e libertà. Tutte caratteristiche che all’autrice non mancano, soprattutto se si considerano le centinaia di chilometri percorsi sotto la pioggia battente, per ore, spesso in mezzo anche al nulla totale.
Ecco perché Canto notturno di una ciclista errante per l’Asia è il diario di viaggio di un’eroina contemporanea, che fa da contraltare all’antico pastore errante di Leopardi, con la sua voglia di sfidare i limiti umani e la natura, per andare incontro al mondo e conquistarlo a colpi di pedali.
VIAGGIO SU DUE RUOTE TRA CUPOLE ROSSE E OCEANI DI STEPPE
Con più di 6000 chilometri percorsi in più di due mesi e diversi fusi orari che si alternano nelle settimane dell’autrice, il libro di Rita Sozzi lascia davvero addosso tutto il peso della fatica, ma anche il senso di meraviglia e la goia bambina di chi riesce a raggiungere distanze infinite con la sola forza delle proprie gambe, incontrando luoghi suggestivi, a volte rarefatti, a volte bizzarri, o di una bruttezza così sfacciata da diventare comunque qualcosa di attraente.
Sono luoghi che sembrano esistere solo nei film o nei libri di storia, eppure ritrovarli tra le pagine del libro e conoscerli attraverso le avventure e le disavventure dell’autrice li rende più vicini, più reali e viene una gran voglia di far subito le valigie, per andar lì nel Gobi a farsi scompigliare per davvero i capelli dal vento della steppa, che parla lal lingua di antichi popoli animati da uno spirito indomito.
E così tra paesini che puntellano praterie sconfinate, steppe battute dal vento, cittadine imprigionate dal cemento e valli sterminate, popolate solo dal silenzio, il viaggio dell’eroica ciclista è un pedalare lento, quasi meditativo, come una preghiera che trova il proprio santuario nella strada e la propria fede nella condivisione con l’altro; quello straniero che spesso temiamo, che spesso giudichiamo, ma che sulla strada diventa nostro fratello, perché le nostre anime sono uguali e l’unica differenza sta nel vento che le ha forgiate.
Recensione di Gabriella Ferracane