25.000 chilometri percorsi in bicicletta in quasi 2 anni. Dalle colline del Monferrato a Città del Capo, percorrendo l’Africa occidentale.
“All’orizzonte un Toubabou. 25.000 km di emozioni in bici” di Filippo Graglia è un diario di viaggio che racconta di incontri speciali, sorrisi che riempiono il cuore, paesaggi che penetrano nell’anima… Ma anche grattacapi doganali e inconvenienti di carattere sanitario. Un’avventura che ti farà provare fortissime emozioni e, se sei un ciclo-viaggiatore, anche un pochino di invidia. Comunque sia, preparati a godere di quella “bella sofferenza” che in molti definiscono “Mal d’Africa”.
Un’avventura in bici attraverso l’Africa
Una fredda mattina di gennaio, Filippo Graglia inforca la sua bicicletta e parte dalla casa in cui è cresciuto nel Monferrato, per percorrere il suo viaggio costruito lontano dai circuiti turistici più noti. In quasi 2 anni percorre 25.000 chilometri disegnando, in sella ad un “pezzo d’acciaio che non pensavo avesse il potere di scaldarmi l’anima” il perimetro dell’Africa occidentale, passando prima da Piemonte, Liguria, Francia e Spagna.
Consumando 11 copertoni e 8 catene, affrontando tanti disguidi di carattere politico, costretto a letto con la malaria e infortunandosi anche un dito, attraversa con umiltà il Monte Atlante, il Sahara, la foresta equatoriale e il deserto del Namib, fino a toccare l’estremo punto meridionale dell’Africa, il punto in cui l’Oceano Atlantico si fonde in un abbraccio con l’Oceano Indiano.
Un viaggio che è sicuramente un’avventura per le mete toccate (ben poco turistiche) ma anche, e soprattutto, un viaggio che arricchisce chi lo compie. In ogni pagina traspare infatti la voglia, quasi il bisogno dell’autore, di cercarsi, e trovarsi, attraverso la natura e il confronto con gli altri.
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Africa: l’ospitalità e i sorrisi della sua gente
In quasi tutti i Paesi che attraversa, Filippo incontra persone cordiali e ospitali, generose e accoglienti, pronte a condividere con lui quel poco di riso che hanno.
Sagge e fiduciose, queste popolazioni lo accolgono nei loro villaggi con una spontanea genuinità perché ancora “umani”. Il massimo del ‘razzismo’ che, da viaggiatore caucasico, l’autore ha dovuto affrontare, è infatti quello di essere sempre stato additato e chiamato “bianco”. Toubabou, Mundele, Branco, Oyibo, Monsieur le Blanc…, “bianco” nei diversi idiomi delle varie etnie incontrate. Non un’offesa, ma la maniera più semplice ed immediata per potersi riferire a lui senza alcun accezione a sfondo razzista.
Nonostante le inevitabili difficoltà linguistiche, con il sorriso – “la chiave della porta ai cuori delle persone” – ogni incontro diventa uno scambio e attorno al fuoco si consolidano rapporti profondi. “Non solamente il ciclista che arriva in un villaggio con la sua rete di conoscenza, ma anche i locali, me lo confermeranno più volte, sono felici di sapere qualcosa di me”.
Ed è proprio da questi incontri che Filippo trae la forza per continuare il suo viaggio, che non è di certo un’impresa da poco. “Senza questo amore e questa solidarietà dell’Africa occidentale sono abbastanza sicuro che avrei gettato la spugna da parecchio tempo; viaggiare in questi Paesi da soli non è una bazzecola. E per merito dei loro sorrisi e delle grida di incoraggiamento che mi fanno sentire uno di famiglia, se sono ancora qua”, afferma lui stesso in un passo del capitolo sulla Guinea.
Sempre da questi incontri nascono riflessioni più profonde: “Chi sta meglio? La persona che cerca la felicità comprandosi una macchina nuova, un nuovo abito? O colui che ha il minimo necessario per una vita dignitosa, e può dedicare tempo a ridere e scherzare con gli amici all’ombra di un albero? Non c’è forse una gran dignità sociale nelle attenzioni che riservano agli anziani, e agli ultimi?”.
Un viaggio dà molte risposte, ma sa anche suggerire molte domande.
L’Africa e la varietà dei paesaggi
Scorrendo le pagine di “All’orizzonte un Toubabou. 25.000 km di emozioni in bici”, troverai anche tante descrizioni di ambienti, climi e paesaggi, sempre straordinariamente diversi tra loro, anche a livelli estremi. Si passa dal freddo del Monte Atlante innevato al caldo torrido del Sahara, proseguendo poi su asfalti lisci e strade ridotte a pantano dalle piogge torrenziali, per immergersi quindi nella fitta ed intricata foresta equatoriale costellata da umidità e zanzare.
Una tavolozza di colori e sensazioni variegate descritte in maniera vivida e semplice, con la schietta onestà che sa usare solo chi le ha vissute in prima persona, che ti sembrerà quasi di provare sulla tua pelle mentre leggi.
È in Africa che la Natura esprime tutta la sua potenza in una delle sue espressioni più elevate. È proprio lì che ci si rende conto di quanto siamo minuscoli nel mondo, ospiti di questa stessa Madre.
Corruzione, spaccio e povertà: l’altra faccia dell’Africa
Ma l’Africa purtroppo non è solo quanto fino ad ora descritto. In alcune nazioni i famosi sorrisi contrastano con la corruzione, questa rappresenta la sconfitta dell’Umanità da parte del potere, che rende particolarmente ostili alcune zone a causa anche delle travagliate situazioni politiche. Lo stesso Filippo incontra non poco ostruzionismo in Paesi quali la Guinea Bissau, il Congo e la Nigeria, dove addirittura viene arrestato.
In queste pagine del libro, oltre a vivere momenti di tensione e di apprensione per il protagonista, lo stesso Graglia ti propone interessanti approfondimenti storico-politiche.
Le parole della mamma di un cicloviaggiatore
L’impresa di Filippo Graglia non è da tutti. Come l’avranno presa i suoi familiari? L’avranno incoraggiato e sostenuto o avranno cercato di farlo desistere per egoistico timore?
Lo scoprirai alla fine, nell’ultimo capitolo che è scritto da un’altra penna, quella di Carla Villata, la madre di Filippo. In poche pagine emerge tutto l’amore di una madre che, a malincuore e frastornata da paure e preoccupazioni, si mette in disparte affinchè il figlio possa vivere pienamente il suo desiderio di conoscere.
Recensione di Federica Ermete